In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!».
Aveva fatto tutti i compiti come un bravo scolaretto diligente quel tale che si butta ginocchioni davanti a Gesù, la sua coscienza era a posto, perfettamente a posto: tutto fatto, tutto eseguito; insomma, proprio un bravo ragazzo, uno a cui non si può rimproverare niente. E ora là, davanti a Gesù, ecco che lo interroga per sapere la verità su di sé: «Maestro buono, è vita o morte la mia vita?». Forse aspetta di sentirsi dire che quella vita di cui sente la mancanza è già tutta sua, gli appartiene di diritto, come un premio per la sua condotta irreprensibile. Forse pensa che Gesù, come i maestri di un tempo, gli darà la medaglia per la sua meticolosità, per il rigore scrupoloso con cui ha osservato tutti i comandamenti. Ci sono sguardi che non dimentichi, che si imprimono nel cuore come sigilli, come marchi indelebili, come curve che all’improvviso si aprono su panorami inaspettati; deve essere stato così quello sguardo di Gesù: una virata impensata, uno spezzare una forma definita per aprirne un’altra. «Una cosa sola ti manca, vendi tutto e dallo ai poveri», una cosa sola ti manca: passare dalle cose alle persone, dalla dottrina all’amore, dall’osservanza alla fantasia creativa di Dio. Dio non è un insieme di regole da rispettare, è di più, molto di più: è linfa vitale che scorre nel granellino di senape, è forza inventiva che fa crescere il pane, è quella pazzia che regala speranze e sogni e centuplica il poco e allarga i confini del cuore. «C’è un vuoto a forma di Dio nel cuore di ogni persona che non può mai essere riempito da nessuna cosa» afferma una frase attribuita a Pascal: quel vuoto che reclama nel cuore del giovane ricco e nel nostro è fame di Dio, è struggente nostalgia di Lui; e la «forma di Dio» non ha nessuna forma conosciuta, ma è forma originale. È forma di desiderio. Triste se ne torna il giovane a casa: ancorato ai suoi beni non è riuscito a fare il salto, zavorrato dalle cose e dai possessi non ha spiccato il volo, come il palloncino che resta legato al filo senza poter danzare libero sospinto dal vento. Triste per quel vuoto che continuerà a portarsi dentro; triste, come un’occasione mancata, un sogno spezzato, un coraggio non avuto. Quello di scommettere su un Dio esagerato.
(don Luigi Verdi)
In questo spazio desideriamo condividere con voi riflessioni, notizie, esperienze che si intersecano con la nostra vita.
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